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Capitolo 1
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L’Inizio
Cambiare o affondare: ce lo chiede la natura
Capitolo 1: L’Inizio

Cambiare o affondare: ce lo chiede la natura

Aleggiano lo spirito della tragedia greca e di Pasolini nel Padiglione Italia di Eugenio Viola e Gian Maria Tosatti. La parabola del sogno industriale ispira riflessioni sull’ambiente e sul ruolo dell’arte

Conversazione tra Eugenio Viola e Gian Maria Tosatti di Enrico Tantucci

Macchinari dismessi che ci «parlano» e ci dicono che vorrebbero riprendere a funzionare. Frammenti di fabbriche ormai fallite e chiuse che, come disiecta membra sparse lungo lo Stivale, mettono in scena la caduta del cosiddetto «miracolo» italiano. Immagini di capannoni industriali, uguali a Ragusa come a Cremona, che, come una Via Crucis, documentano la normalizzazione del paesaggio urbano e rurale di quell’avventura industriale finita male per il nostro Paese. Lasciandoci però in eredità la compromissione ambientale del suo territorio.

Si respira lo spirito della tragedia greca, come dicono anche l’artista Gian Maria Tosatti e il curatore Eugenio Viola, binomio ormai inseparabile, nel Padiglione italiano presente alla Biennale Arti Visive, negli ampi spazi delle Tese delle Vergini all’Arsenale. Per la prima volta affidati a un unico artista, Tosatti appunto, che qui sviluppa la sua narrazione, materializzando i fantasmi che lo accompagnano da tempo («sono con me ogni giorno», osserva) e che sono in larga parte anche i nostri. «Storia della Notte e Destino delle Comete», questo il titolo evocativo e metaforico di questo racconto che si riferisce a un presente incerto e metapandemico e che illustra con poetico realismo la parabola dell’ascesa e caduta di quello che un tempo in termini entusiastici veniva appunto definito il «miracolo» italiano. «Il titolo l’avevo proposto io, spiega Tosatti, ma a Eugenio sembrava troppo lungo». «Io amo generalmente i titoli “secchi”, di una sola parola», puntualizza Viola. «Ci siamo ritrovati la sera prima della presentazione del progetto a dover decidere, dice ancora Tosatti, e a quel punto Eugenio, mi ha detto: “Il titolo è quello che hai proposto tu”». Perché in questo caso un titolo narrativo e evocativo era necessario per raccontare l’ascesa e caduta del sogno industriale del Belpaese. «La storia di una Nazione, osservano Viola e Tosatti, che ha vissuto una straordinaria crescita economica purtroppo indifferente alle esigenze del territorio. Un Paese ricco di contraddizioni, diversità e specificità territoriali molto complesse. Ci siamo chiesti, alla luce degli scenari attuali, in che modo potessimo tornare a riflettere sull’ambiente, e che tipo di dibattito pubblico fosse possibile sul paesaggio urbano e le ecologie sostenibili, e infine che ruolo potesse giocare l’arte nella costruzione di un mondo migliore all’indomani della crisi».

Un percorso che, ancora una volta, Tosatti e Viola compiono insieme. «Io e Gian Maria siamo compagni di strada, osserva Eugenio Viola. La sua padronanza degli spazi, che gli viene anche dal “peccato originale” del teatro, si collega alle poetiche performative e alla tradizione dell’environment che sono molto vicine alle mie ricerche curatoriali. Sono molti i punti di contatto tra la mia ricerca e la sua pratica artistica, perché entrambi siamo sostenuti da una solida impostazione teorica ed entrambi vediamo i nostri progetti come un continuum. Considero tutti i miei progetti come un romanzo per immagini in costante formazione e quello che andiamo ad aprire tra poco è probabilmente il capitolo più importante della nostra carriera».

È un’unica grande installazione intermediale quella «costruita» da Tosatti, con una sintassi teatrale, com’è nelle sue corde, che prevede un prologo e due atti e fonde nel suo cammino (a cui il visitatore sarà chiamato a partecipare) una pluralità di linguaggi: dai riferimenti letterari alle arti visive, dal teatro alla musica e alla performance. Con alcuni numi tutelari, come l’ultimo Pasolini, quello di Petrolio. Ma, soprattutto, quello dell’articolo apparso il primo febbraio 1975 sul «Corriere della Sera», Il vuoto di potere in Italia, in cui scriveva provocatoriamente: «Darei l’intera Montedison per una lucciola».

La «Storia della Notte» è la prima parte dell’installazione e descrive visivamente l’ascesa e la caduta del «miracolo italiano». La seconda parte, fortemente influenzata dallo spirito pasoliniano, è invece il «Destino delle Comete», che ne trae, in un’atmosfera malinconica, le conseguenze. Lasciando però un finale aperto e venato di speranza. Oltre a Pasolini, i riferimenti letterari sono, tra gli altri, anche a Ermanno Rea con La dismissione, legata allo smantellamento dell’Ilva di Bagnoli. E, per restare in Veneto, allo stesso Andrea Zanzotto che in un aforisma enunciava: «In questo progresso scorsoio / non so se vengo ingoiato / o se ingoio».

Il primo atto, la «Storia della Notte», «ripercorre metaforicamente l’ascesa e la caduta del sogno industriale italiano e prepara alla visione finale, il “Destino delle Comete”, una visione palingenetica e catartica, che tuttavia offre uno sguardo propositivo sul presente», spiegano ancora Viola e Tosatti. Perché non si tratta di un «processo» al sistema industriale del dopoguerra e il giudizio finale, pur in un contesto ambientale e sociale oggi difficile, non è apocalittico. «Usciti da questo sogno di sviluppo felice in cui molti hanno sinceramente creduto, oggi ci specchiamo e ci troviamo brutti, spiega ancora Gian Maria Tosatti, forse orrendi, ma è dalla presa di coscienza del collasso anche ambientale in cui siamo precipitati che possiamo trovare la spinta per cambiare. Purtroppo anche la guerra in Ucraina, in fondo, ha interrotto quel tentativo in corso di modificare il modello di sviluppo energetico, di renderlo economicamente più sostenibile. Siamo tornati al carbone e al petrolio. Del resto le guerre e le catastrofi ambientali sono sempre collegate. Lo spirito della tragedia greca che pure pervade questo lavoro nasce anche dalla mia convinzione sul valore non pessimistico di essa rispetto a quello che normalmente le si attribuisce. Proprio dalla visione di essa, dalla presa di coscienza della drammaticità degli eventi, al termine, può nascere la volontà di cambiare e a farlo deve essere l’uomo. Perché anche la nota ottimistica che conclude la narrazione nasce proprio dalla fiducia nelle nostre capacità di rinnovamento di fronte a una natura antica, ma giusta e severa, che ci pone di fronte alle nostre responsabilità: cambiare o affondare. Ma l’ottimismo resta una necessità, non possiamo farne a meno».

Quello compiuto da Tosatti preparando il suo lavoro per il Padiglione italiano è stato, come dice lui stesso, un «Grand Tour» attraverso i relitti dell’Italia industriale del post miracolo economico invece che attraverso i luoghi dell’arte, come facevano i rampolli dell’aristocrazia europea tra Settecento e Ottocento. «Ci sono stati anche imprenditori illuminati nel nostro dopoguerra, spiega ancora l’artista, come Adriano Olivetti o Achille Maramotti che hanno saputo coniugare lo sviluppo industriale con il benessere dei propri dipendenti, il rispetto per l’ambiente, l’amore per la cultura, restituendo qualcosa alla società. O casi come quello dell’ingegnere fiorentino Luigi Conti Vecchi che addirittura all’inizio degli anni Venti del secolo scorso seppe trasformare, bonificandola, quella palude malarica che era lo stagno di Cagliari in una colossale salina. Un impianto industriale all’avanguardia che dava lavoro a oltre mille dipendenti e attorno al quale sorse una borgata con dopolavoro e strutture ricreative dove vivevano insieme famiglie di proprietari, dirigenti e operai con i figli che andavano nello stesso asilo, e i pasti in mensa gratuiti. Una realtà industriale che esiste ancora e che oggi è diventata anche un’oasi naturalistica. Ma nel mio viaggio per l’Italia ho incontrato anche il capo impianto di Bergamo, una volta area industriale avanzata, che mi ha detto: Qui sono rimasti solo due impianti produttivi, tutto il resto è logistica”».

E su tutto aleggia lo spirito di quel «Lucifero» che era anche la terza tappa del progetto «Sette Stagioni dello Spirito» che Tosatti, sempre con a fianco Eugenio Viola, aveva condotto nel 2015 a Napoli, diventata, lui romano, sua città d’adozione. E che anche oggi cita più volte. Un Lucifero, indagato dall’artista legando la religione, la storia, la linguistica, la filosofia, che può essere in qualche modo una figura benefica, perché l’incontro con esso può dare una svolta alla nostra esistenza. Scegliendo, in questo caso, la via difficile della sostenibilità ambientale, o cedendo alla tentazione del lasciare tutto così com’è e sprofondare nell’Italia smarrita dell’era postindustriale.

Perché Tosatti crede profondamente nelle radici, le nostre, alle quali un artista deve necessariamente attingere per esprimersi. «Non c’è nulla che mi irriti di più che la pretesa originalità di un’opera d’arte, spiega. Se un artista afferma di avere idee originali, probabilmente non sono delle buone idee. Tutte le idee hanno radici e il nostro compito è quello di tenerle ben pulite perché possano germogliare e svilupparsi. Le nostre sono profonde, penso ad esempio all’influenza su di me di un artista come Caravaggio, alle tele che sono nella Chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, che da bambino andavo a vedere quasi ogni giorno, accompagnato da mia madre. Un artista italiano non può non essere arricchito e influenzato dallo straordinario patrimonio artistico del nostro Paese. Negli Stati Uniti, dove pure ho vissuto diversi anni, è più difficile crescere come artisti, perché da quello che vediamo intorno a noi, in una Nazione così giovane e senza una storia alle spalle, gli stimoli che arrivano sono relativi».

Il Padiglione Italia è anche concepito come un forum continuo, in presenza e online, grazie a un calendario di incontri di carattere scientifico-divulgativo che durante tutta la durata della Biennale vedranno confrontarsi professionisti ed esperti del settore ecologico e ambientale e protagonisti del mondo della cultura sui temi trattati dalla mostra. Il programma di conferenze si espanderà da Venezia al resto del mondo, grazie al coinvolgimento di una serie di istituzioni internazionali che ospiteranno i dibattiti sui temi affrontati dal Padiglione, vere e proprie ambasciate di «Storia della Notte e Destino delle Comete» all’estero. Tutti gli argomenti trattati, gli spunti emersi e le riflessioni sviluppate saranno raccolti in un sito web sempre a disposizione di chiunque voglia approfondire la ricerca su modelli di vita e sviluppo alternativi. Parallelamente sarà prodotto un corpus di documenti audiovisivi dell’opera, dalla sua realizzazione sino alla sua presentazione al pubblico. Il catalogo del Padiglione, edito da Treccani, è rappresentato da un dialogo tra Gian Maria Tosatti ed Eugenio Viola. A cura dello stesso Viola, autore anche del testo introduttivo in cui ripercorre la genesi dell’opera di Tosatti contestualizzandola nel percorso dell’artista, il volume include i testi istituzionali ed è accompagnato da un omaggio a Mimmo Jodice, recuperando una serie di fotografie di denuncia sul degrado industriale nel Sud realizzate all’inizio degli anni Settanta. Non manca, infine, l’«articolo delle lucciole» di Pier Paolo Pasolini, che è stato uno dei «motori» del lavoro di Tosatti per il Padiglione italiano.

Conversazione tra Eugenio Viola e Gian Maria Tosatti di Enrico Tantucci

Gian Maria Tosatti è artista visivo formatosi nel campo performativo, inizia nel 2005 a Roma un percorso al confine tra architettura e arti visive, realizzando installazioni ambientali site specific che diventeranno il segno distintivo della sua opera. Tra il 2008 e il 2018 vive e lavora a New York, prima di ristabilirsi in Italia, a Napoli. È l’attuale direttore artistico della Quadriennale di Roma per il triennio 2021-2024 e svolge anche attività di editorialista e giornalista. Scrive saggi di arte e politica e ha recentemente pubblicato Esperienza e realtà. Teoria e riflessioni sulla quinta dimensione (Postmedia books, Milano 2021). Ha sviluppato mostre e progetti personali in numerosi spazi nazionali e internazionali. È in preparazione per il 2023, presso l’HangarBicocca di Milano, la prima mostra antologica sulla sua carriera a cura di Vicente Todolí.

 

Eugenio Viola è dottore di ricerca e attuale capo curatore del Mambo, Museo de Arte Moderno de Bogotá, in Colombia. Dal 2017 al 2019 è stato Senior Curator del Pica, The Perth Institute of Contemporary Arts a Perth, in Western Australia. Dal 2009 al 2016 è stato curatore al Museo Madre di Napoli. Ha lavorato con istituzioni italiane e internazionali, curando complessivamente oltre 70 mostre in Italia e all’estero e oltre 50 tra cataloghi e libri, collaborando inoltre a numerose pubblicazioni internazionali.

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